“Riabitare le aree interne italiane”: è il mantra che domina buona parte del dibattito culturale e politico italiano. Si espongono progetti, si pubblicano libri, si fanno leggi, si destinano risorse. Il rischio è di riempire le aree interne di “cose” inutili, morte prima ancora di nascere. Esattamente come si è fatto in passato: ostelli, rifugi, zone industriali, strade, grandi attrattori, opere pubbliche varie. È uno scenario molto realistico, soprattutto da quando spopolamento e abbandono hanno fatto delle aree interne apparenti terre di nessuno. Già, solo apparenti. Perché in realtà questi territori “vuoti” (ma il vuoto non è forse un importante elemento della materia, secondo la fisica moderna?) sono divenuti gli ultimi sacrari dei nuovi lussi dell’Occidente opulento, come li chiama Terry Paquot: spazio, tempo, silenzio. Ed è nei luoghi, nei paesaggi, nelle aree dell’interno, sempre più vaste, restituite alla natura ed alla storia, che si declinano queste parole tanto ambite da chi vive nelle società urbane, ipertecnologiche, iperprotette, tracimanti di persone magari ricche o comunque “agiate” che però sono tristi, depresse, insoddisfatte delle loro vite. Ecco perché quest’anno il festival dell’area del Reventino-Mancuso ha deciso di dire che per “riabitare” i luoghi occorre prima “riabilitarli”. È necessario cioè ricostruirne la reputazione, decostruendo, nello stesso tempo, quel nefasto immaginario collettivo che li ha avvolti in un sudario di miseria, tristezza, malinconia. Occorre far comprendere, invece, che i luoghi hanno valore per come essi sono, che non bisogna trasformarli in ciò che non potranno mai essere (ad esempio delle giostre per il divertimento coatto di masse sguaiate di turisti mordi e fuggi). Nelle aree dell’interno, nei luoghi del Reventino-Mancuso, riconsegnando al paesaggio (inteso come crogiolo di natura e cultura) ed ai singoli luoghi il loro ruolo di vere miniera, di reali ed uniche attività produttive delle nostre comunità, capiremo che esistono ancora luoghi dove si può vivere poveri ma felici, anzi “diversamente felici”.
Faggeta di Condrò, sabato 11 luglio 2020.
Francesco Bevilacqua